Ha ancora senso nel terzo millennio che uomini e donne vivano l'esperienza profonda e radicale di un 'pellegrinaggio'?
In occasione del Giubileo dell'anno 2000 molto è stato scritto in materia. Vi proponiamo un bell'articolo trovato su internet, estratto da un volume di mons. Romeo Maggioni.
In tale scritto mons. Maggioni descrive cinque 'radici profonde' dell'esperienza del pellegrinaggio: la radice esistenziale, la radice biblica, la radice teologica, la radice ecclesiale, la radice escatologica.
Riportiamo qui sotto l'inizio dell'articolo, clicca qui per leggere tutto il resto.
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Il pellegrinaggio nella vita dell'uomo viene da lontano: ha radici profonde nel suo essere e nella sua storia. Ha radici nella sua dimensione psicologica ed esistenziale. L'uomo è in ricerca, è curioso di sapere e di conoscere: è pellegrino della verità e della felicità. Il quesito sulla sua identità, sul senso della vita e sul proprio destino lo rendono viator: ricercatore oltre gli stessi confini umani, aperto all'Assoluto, con la voglia di possederlo e divenire simile a Lui.Ma a questa ricerca - non sempre positiva e vera - un giorno ha voluto affiancarsi Dio stesso per guidare, purificare, elevare, indirizzare al punto giusto la ricerca dell'uomo verso il mistero. E' la vicenda storica di Israele trasmessaci dalla Bibbia, dove si narra l'esporsi graduale di Dio nella vicenda umana, per manifestarsi e comunicarsi, fino a rendersi visibile fisicamente in Gesù di Nazaret, rivelazione piena di Dio e del progetto di uomo creato da Dio. E' il pellegrinaggio di Dio verso l'uomo che precede e sollecita come risposta il pellegrinaggio della fede dell'uomo verso Dio. "Dio s'è fatto uno di noi per fare ognuno di noi uno di Lui" (sant'Ireneo).
Da qui la terza radice del pellegrinaggio, quella teologica, che fonda il vero e puro anelito dell'uomo verso Dio. Scrive san Paolo: "Ci ha predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29). Creati, predestinati, strutturati quali figli di Dio come l'Unigenito, è iscritto in noi - necessariamente, naturalmente - il bisogno di Dio, impastati come siamo di divino, col destino e il desiderio profondo di divenirne eredi. Qui si fonda la sete di Dio, incancellabile, che arde in ogni uomo e che lo spinge alla sua ricerca e al suo possesso. Più precisamente parliamo di "nostalgia" perché è ritorno e scoperta di una sua radice lontana.
Dio si è insediato nella storia; l'evento cristiano ne è il cuore e il culmine, ma per dilatarsi e raggiungere tutti. Come un fiume d'acqua viva, da quel punto storico, scorre la realtà visibile della Chiesa, mistero e - contemporaneamente - luogo di salvezza. Lì si incontra la memoria di quell'evento, ma una memoria efficace che per l'opera dello Spirito Santo attualizza per ognuno di noi atti e frutti di trasformazione e santificazione. Il pellegrinaggio verso Dio allora sfocia nella Chiesa e nel sacramento se vuol essere davvero approdo di salvezza. A questa precisa meta sacramentale deve giungere ogni pellegrinaggio a un santuario.
Infine l'ultima radice o dimensione del pellegrinaggio è quella "escatologica", perché il nostro approdo al mistero cristiano è solo un inizio, una promessa: "Nella speranza noi siamo stati salvati..." (Rm 8,24). La nostra è una situazione del "già e non ancora": siamo già salvati, ma in attesa del possesso pieno di una salvezza che ci sarà data come compimento, anche nel corpo, con il ritorno glorioso di Cristo. La Chiesa, nella sua indole, è "pellegrina" verso quel compimento che l'Apocalisse vede come un giorno di nozze, di totale e definitiva comunione dello sposo con la sposa, di ogni cristiano con Cristo, in Casa Trinità, dove Dio sarà tutto in tutti! Modello e primizia di questa peregrinazione e di questo compimento è Maria. Perciò ogni pellegrinaggio mariano è rievocazione e lettura della nostra stessa vicenda di uomini incamminati nella fede verso un destino di vita in cui Maria ci ha preceduti e di cui è segno e speranza.
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