Dall’omelia del vescovo Antonio Mattiazzo in occasione della Veglia di preghiera in preparazione al pellegrinaggio di Assisi
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Carissimi fedeli,
(…) Come Regione Veneto, vale a dire amministratori della “cosa pubblica” insieme ai vescovi, presbiteri, religiosi, fedeli laici, ci recheremo ad Assisi per venerare san Francesco come patrono d’Italia.
Il titolo di patrono ci richiama due attributi e funzioni:
- quello di intercessore presso Dio per la società italiana
- quello di modello di riferimento per la vita personale e comunitaria.
A un’attenta riflessione, appare fin troppo evidente come l’Italia oggi abbia non poco, ma un immenso bisogno di chi interceda davanti a Dio per il suo vero bene. Vorrei ricordare come Giovanni Paolo II, di venerata memoria, nel 1994 lanciò un appello a una grande preghiera del popolo italiano. Questo appello rimane di attualità più che mai.
L’Italia si presenta oggi come società complessa, posta di fronte a profonde trasformazioni, sempre più multietnica e multireligiosa.
Quello che vale per l’Italia, vale anche e ancor di più per la nostra Regione.
Grandi sfide stanno davanti a noi; non possiamo ignorarle, né starcene a lato, chiusi in una nostra nicchia.
Non è affatto retorico dire che stiamo attraversando una crisi profonda: crisi di valori, crisi della famiglia, emergenza educativa, crisi del fondamento stesso dell’ordine morale e giuridico, e, alla radice, una crisi spirituale. La crescita di questi anni ha puntato sul benessere fisico e materiale, sul culto narcisistico dell’immagine, vuota di autentico contenuto, relegando in secondo piano, se non emarginando, la dimensione spirituale della persona e la fede. Sono state intaccate le radici stesse della fede e della tradizione cristiana.
Insieme con una bella vitalità della comunità cristiana, di movimenti e gruppi, si è affermata una società dal secolarismo avanzato, che relega Dio e la fede ai margini della vita pubblica, che ha paura di esser toccata nella propria autonomia e libertà, ma è oggi costretta a ricorrere a ogni sorta di divieti e di controlli per salvaguardare un minimo di sicurezza sociale. Non possiamo dimenticare la Parola di Dio che ammonisce che non si può edificare una città, una società degna dell’uomo prescindendo da Dio (cfr. Salmo 126).
In questo contesto, il pellegrinaggio ad Assisi acquista un significato e un valore straordinario, che non possiamo trascurare. Abbiamo bisogno di ritornare alla Sorgente pura e zampillante del messaggio incarnato da san Francesco. Abbiamo bisogno che il Poverello di Assisi ci ridica le parole vive del Vangelo, che ci faccia volgere lo sguardo al Crocifisso, che ci parla di Dio Padre e della fraternità universale, degli uomini e di tutte le creature, che ci aiuti ad ammansire i tanti lupi, e cioè gli istinti della violenza che si annidano in noi e nella società.
Il pellegrinaggio raggiungerà il suo scopo se ci aiuterà a riscoprire i valori genuini e perenni del Poverello di Assisi e del francescanesimo, stimolandoci e aiutandoci a tradurli in visione e prassi di vita.
Francesco è una figura straordinaria che attira e incanta per la sua squisita umanità.
Con il Cantico delle creature e attraverso i Fioretti ci dischiude un mondo di semplicità, di genuinità, di pace, dove non c’è più orgoglio, sopraffazione; dove tutto è trasfigurato in una luce chiara e serena. È un anticipo del regno di Dio.
Ma è facile dimenticare qual è la sorgente, il segreto per entrare in questo mondo. È facile restare alla superficie, alla dimensione estetica e poetica, senza comprenderne la profondità.
Tutto in Francesco è nato da un duplice incontro, che, in fondo, è uno solo: il volto del Crocifisso e il volto del lebbroso.
Francesco non ha avuto paura del Crocifisso e del lebbroso, non ha fatto finta di non vederli, non ha girato al largo, ma li ha abbracciati. Ha portato impresse anzitutto nel suo cuore le piaghe del Crocifisso, piaghe che sulla Verna prenderanno forma visibile anche nel suo corpo; è stato toccato intimamente dall’amore senza limiti di Cristo. Ha abbracciato le piaghe del lebbroso, vincendo se stesso. Ed è stato allora guarito interiormente dal veleno dell’amor proprio, del narcisismo, dell’attaccamento possessivo alle creature e al denaro, abbracciando in Cristo Madonna povertà, scoprendo la vera forma dell’autentico amore.
È stata, quella di Francesco, una conversione radicale, graduale, ma tenace e perseverante che ha rinnovato tutta la sua umanità, generando in lui un uomo nuovo, l’homo evangelicus. Un’umanità integrale, che aprendosi a Dio, si apre nello stesso tempo e fraternizza con gli uomini e con tutte le creature. Il Francesco fratello universale, il Francesco della pace, il Francesco del Cantico delle creature, ha qui la sua nascita autentica.
Ed è con questa scelta di vita, con la sua viva testimonianza, non con le critiche, che Francesco attuerà il mandato del Crocifisso di San Damiano: «Francesco, va’ e rinnova la mia Chiesa, che, come vedi, va in rovina».
Noi tutti oggi abbiamo bisogno di una conversione profonda. Questo significa ri-centrare la nostra vita su Dio, e su Dio fatto Uomo, su Gesù Cristo, riscoprendo il suo ineffabile amore che si manifesta nel Crocifisso.
Amiamo davvero Gesù Cristo come Bene Supremo?
Questa è la scelta fondamentale, che richiede sempre conversione, conversione del cuore, conversione dei modelli e stili di vita.
Questa conversione nasce dalla preghiera, dall’ascolto, dalla contemplazione, dalla purificazione del cuore.
Che posto hanno nella nostra vita e nelle nostre comunità? Quanto tempo vi dedichiamo?
È sempre a partire da questa sorgente che si attua un rinnovamento della vita e della Chiesa.
C’è poi un bisogno immenso di conversione nella nostra società. Il francescanesimo nella sua genuinità è stato un fattore straordinario di rinnovamento sociale, ha portato il soffio di un umanesimo nuovo nei vari ambiti della vita. Oggi abbiamo bisogno di impostare con spirito nuovo i rapporti in una società multietnica e multireligiosa, abbiamo bisogno di ammansire il lupo della paura e della violenza, abbiamo bisogno di rivedere lo stile di vita consumistico. Invece di puntare sui beni materiali di consumo, occorre puntare sui beni di relazione: la carità, la prossimità, la fraternità, l’amicizia.
Il pellegrinaggio ad Assisi è un evento di grazia, un’occasione propizia donata dal Signore alla nostra Regione, alla nostra Chiesa, per convertirci e rinnovarci.
Prepariamoci, per non lasciar passare invano questa grazia.
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Carissimi fedeli,
(…) Come Regione Veneto, vale a dire amministratori della “cosa pubblica” insieme ai vescovi, presbiteri, religiosi, fedeli laici, ci recheremo ad Assisi per venerare san Francesco come patrono d’Italia.
Il titolo di patrono ci richiama due attributi e funzioni:
- quello di intercessore presso Dio per la società italiana
- quello di modello di riferimento per la vita personale e comunitaria.
A un’attenta riflessione, appare fin troppo evidente come l’Italia oggi abbia non poco, ma un immenso bisogno di chi interceda davanti a Dio per il suo vero bene. Vorrei ricordare come Giovanni Paolo II, di venerata memoria, nel 1994 lanciò un appello a una grande preghiera del popolo italiano. Questo appello rimane di attualità più che mai.
L’Italia si presenta oggi come società complessa, posta di fronte a profonde trasformazioni, sempre più multietnica e multireligiosa.
Quello che vale per l’Italia, vale anche e ancor di più per la nostra Regione.
Grandi sfide stanno davanti a noi; non possiamo ignorarle, né starcene a lato, chiusi in una nostra nicchia.
Non è affatto retorico dire che stiamo attraversando una crisi profonda: crisi di valori, crisi della famiglia, emergenza educativa, crisi del fondamento stesso dell’ordine morale e giuridico, e, alla radice, una crisi spirituale. La crescita di questi anni ha puntato sul benessere fisico e materiale, sul culto narcisistico dell’immagine, vuota di autentico contenuto, relegando in secondo piano, se non emarginando, la dimensione spirituale della persona e la fede. Sono state intaccate le radici stesse della fede e della tradizione cristiana.
Insieme con una bella vitalità della comunità cristiana, di movimenti e gruppi, si è affermata una società dal secolarismo avanzato, che relega Dio e la fede ai margini della vita pubblica, che ha paura di esser toccata nella propria autonomia e libertà, ma è oggi costretta a ricorrere a ogni sorta di divieti e di controlli per salvaguardare un minimo di sicurezza sociale. Non possiamo dimenticare la Parola di Dio che ammonisce che non si può edificare una città, una società degna dell’uomo prescindendo da Dio (cfr. Salmo 126).
In questo contesto, il pellegrinaggio ad Assisi acquista un significato e un valore straordinario, che non possiamo trascurare. Abbiamo bisogno di ritornare alla Sorgente pura e zampillante del messaggio incarnato da san Francesco. Abbiamo bisogno che il Poverello di Assisi ci ridica le parole vive del Vangelo, che ci faccia volgere lo sguardo al Crocifisso, che ci parla di Dio Padre e della fraternità universale, degli uomini e di tutte le creature, che ci aiuti ad ammansire i tanti lupi, e cioè gli istinti della violenza che si annidano in noi e nella società.
Il pellegrinaggio raggiungerà il suo scopo se ci aiuterà a riscoprire i valori genuini e perenni del Poverello di Assisi e del francescanesimo, stimolandoci e aiutandoci a tradurli in visione e prassi di vita.
Francesco è una figura straordinaria che attira e incanta per la sua squisita umanità.
Con il Cantico delle creature e attraverso i Fioretti ci dischiude un mondo di semplicità, di genuinità, di pace, dove non c’è più orgoglio, sopraffazione; dove tutto è trasfigurato in una luce chiara e serena. È un anticipo del regno di Dio.
Ma è facile dimenticare qual è la sorgente, il segreto per entrare in questo mondo. È facile restare alla superficie, alla dimensione estetica e poetica, senza comprenderne la profondità.
Tutto in Francesco è nato da un duplice incontro, che, in fondo, è uno solo: il volto del Crocifisso e il volto del lebbroso.
Francesco non ha avuto paura del Crocifisso e del lebbroso, non ha fatto finta di non vederli, non ha girato al largo, ma li ha abbracciati. Ha portato impresse anzitutto nel suo cuore le piaghe del Crocifisso, piaghe che sulla Verna prenderanno forma visibile anche nel suo corpo; è stato toccato intimamente dall’amore senza limiti di Cristo. Ha abbracciato le piaghe del lebbroso, vincendo se stesso. Ed è stato allora guarito interiormente dal veleno dell’amor proprio, del narcisismo, dell’attaccamento possessivo alle creature e al denaro, abbracciando in Cristo Madonna povertà, scoprendo la vera forma dell’autentico amore.
È stata, quella di Francesco, una conversione radicale, graduale, ma tenace e perseverante che ha rinnovato tutta la sua umanità, generando in lui un uomo nuovo, l’homo evangelicus. Un’umanità integrale, che aprendosi a Dio, si apre nello stesso tempo e fraternizza con gli uomini e con tutte le creature. Il Francesco fratello universale, il Francesco della pace, il Francesco del Cantico delle creature, ha qui la sua nascita autentica.
Ed è con questa scelta di vita, con la sua viva testimonianza, non con le critiche, che Francesco attuerà il mandato del Crocifisso di San Damiano: «Francesco, va’ e rinnova la mia Chiesa, che, come vedi, va in rovina».
Noi tutti oggi abbiamo bisogno di una conversione profonda. Questo significa ri-centrare la nostra vita su Dio, e su Dio fatto Uomo, su Gesù Cristo, riscoprendo il suo ineffabile amore che si manifesta nel Crocifisso.
Amiamo davvero Gesù Cristo come Bene Supremo?
Questa è la scelta fondamentale, che richiede sempre conversione, conversione del cuore, conversione dei modelli e stili di vita.
Questa conversione nasce dalla preghiera, dall’ascolto, dalla contemplazione, dalla purificazione del cuore.
Che posto hanno nella nostra vita e nelle nostre comunità? Quanto tempo vi dedichiamo?
È sempre a partire da questa sorgente che si attua un rinnovamento della vita e della Chiesa.
C’è poi un bisogno immenso di conversione nella nostra società. Il francescanesimo nella sua genuinità è stato un fattore straordinario di rinnovamento sociale, ha portato il soffio di un umanesimo nuovo nei vari ambiti della vita. Oggi abbiamo bisogno di impostare con spirito nuovo i rapporti in una società multietnica e multireligiosa, abbiamo bisogno di ammansire il lupo della paura e della violenza, abbiamo bisogno di rivedere lo stile di vita consumistico. Invece di puntare sui beni materiali di consumo, occorre puntare sui beni di relazione: la carità, la prossimità, la fraternità, l’amicizia.
Il pellegrinaggio ad Assisi è un evento di grazia, un’occasione propizia donata dal Signore alla nostra Regione, alla nostra Chiesa, per convertirci e rinnovarci.
Prepariamoci, per non lasciar passare invano questa grazia.
Antonio, Vescovo
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da "Lettera Diocesana" 18-2008, 23 settembre 2008
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