Attivo il nuovo sito venetoadassisi.it

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venerdì 3 ottobre 2008

Celebrazione del Transito: omelia di mons.Antonio Mattiazzo

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OMELIA DI MONS. ANTONIO MATTIAZZO, ARCIVESCOVO DI PADOVA, NELLA “COMMEMORAZIONE DEL TRANSITO DI S.FRANCESCO”
(Assisi, 3 ottobre 2008)

Eminenza, confratelli nell’episcopato, carissimi frati e sorelle francescane, presbiteri, religiosi e religiose, laici, autorità.

1. Esattamente 782 anni or sono, l’anno dell’Incarnazione del Signore 1226, in questo luogo benedetto, al crepuscolo del giorno, S.Francesco, deposto spoglio sulla nuda terra, chiudeva gli occhi per sempre alla luce di questo mondo per aprirli eternamente alla luce senza tramonto della Gerusalemme del Cielo.
La descrizione del transito del Santo, che abbiamo ascoltato insieme con le Letture bibliche, ha certamente suscitato nel nostro animo una profonda e viva impressione. Cominciamo così questi giorni di grazia che il Signore ci dona ad Assisi.
Noi siamo convenuti qui, in devoto pellegrinaggio come Regione Veneto, come parte d’Italia, per offrire l’olio della lampada votiva, in segno di venerazione per il santo Patrono d’Italia e implorare la sua benedizione e protezione per noi e per le nostre popolazioni. Questo atto non può ridursi semplicemente ad un gesto esteriore e formale, ma richiede d’esser compreso e interiorizzato nel suo significato genuino e propositivo.
A questo fine è necessario che abbiamo a riascoltare nella profondità del nostro cuore il messaggio sempre vivo e attuale del Poverello di Assisi, a leggere in quella luce la nostra situazione odierna, a trarne ispirazione e vigore per un rinnovamento autentico di noi stessi e delle nostre comunità; un rinnovamento che si realizza attingendo alle sorgenti fresche e zampillanti del S.Vangelo, nella grazia dello Spirito Santo che dona sempre nuove energie alla Chiesa.
Nello stesso tempo siamo qui, tutti uniti, Autorità civili e responsabili della “cosa pubblica” della Regione, Pastori e popolo, per implorare la benedizione e l’intercessione di S.Francesco per la nostra terra. Una terra ricca di tradizioni di fede, di cultura, di civiltà, di missionarietà e che ha conosciuto in questi anni il travaglio di profonde e rapide trasformazioni nella mentalità e visione della vita, nel costume, con rischi di smarrimento della sua anima, di involuzione e di degrado.
Il nostro pellegrinaggio in questo contesto diventa una grazia, una opportunità, un segno di speranza per noi e per la nostra intera Regione. Viviamolo dunque con interiorità, con spirito meditativo, con fede, nella preghiera concorde e fervente.

2. Volgiamo nuovamente il nostro sguardo verso S.Francesco, guardiamolo ormai consunto, deposto sulla nuda terra, con le stimmate vive. E cerchiamo di comprendere come ha vissuto il suo transito da questo mondo al Padre, la sua Pasqua.
È stato osservato che “per comprendere una vita, come per comprendere un paesaggio, è necessario scegliere bene il punto di vista; e non ne esiste nessuno migliore della vetta. Questa vetta è la morte” (P. Claudel, Giovanna al rogo).
S.Francesco ha vissuto la morte oltre ogni schema di comportamento abituale, in modo originalissimo; nella morte fu originale, come fu originale nel vivere. Il Celano riporta che Francesco “accolse la morte cantando” (2 Celano 214, F.F. 804). All’uomo secondo natura la morte incute paura e tristezza, perché viene percepita come uno strappo violento della vita e un inoltrarsi nell’ignoto. S.Francesco, invece, nel suo animo aveva trasfigurato l’immagine cupa della morte, e la chiamava “sorella morte”. Non solo cantava lui di fronte alla morte che veniva al suo incontro, ma invitava a cantare in quel momento anche i suoi frati e le altre creature. È stupendo il darsi convegno delle allodole che vennero a stormi con insolito giubilo ad accompagnare il transito di Francesco. Giunto al vertice della vita - dice S.Bonaventura (Legenda maior) - si consumò in una morte senza morte. Cerchiamo di comprendere, per quanto ci è possibile, questo mistero di Francesco.
La trasfigurazione della morte è avvenuta in Francesco come il corollario della trasfigurazione della sua vita. Se ha manifestato una mirabile ars moriendi è perché prima aveva espresso una ars vivendi , una nuova ermeneutica dell’esistenza.
Nella vita del Poverello d’Assisi si vede all’opera la forma della vita secondo lo Spirito, operata dalla grazia di Cristo. È la forma del S. Vangelo, forma anzitutto interiore, ma che si manifesta nel modello e stile di vita, nelle relazioni intessute con gli altri, nel rapporto con tutto il creato. In questa forma di vita al centro c’è Gesù Cristo e la novità di vita del Vangelo.
Gesù Cristo, contemplato con immenso amore “nell’umiltà dell’Incarnazione” e nella “carità della Passione” (1 Celano, F.F. 467), è diventato la ragione prima e ultima del vivere di Francesco. Per questo poteva dire con S. Paolo: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1, 21).
In Cristo si congiungono non estrinsecamente, ma intimamente l’uomo, la società, il cosmo, il cielo e la terra, il presente, il passato, il futuro. In Cristo, tutto è rinnovato e trasfigurato: Dio non è più il Dio del teismo, un Dio lontano e ozioso, ma è il Padre universale; l’uomo non è più un nemico, e neppure un estraneo e concorrente, ma un fratello da onorare e da amare. Le creature non sono più viste come materia inerte e passiva da sfruttare per il profitto materiale, ma come compartecipi della vita e del destino dell’uomo sotto lo sguardo della paternità di Dio. Tutto è passato attraverso la Pasqua di Cristo e in essa tutto è stato riconciliato, rinnovato, ritrovando l’armonia e la pace.
Francesco poté cantare la morte, perché aveva debellato la vera morte: la morte del possesso egoistico, abbracciando Madonna Povertà. Per questo era divenuto libero, perché solo i veri poveri sono autenticamente liberi.
Francesco poté cantare la morte perché la sua vita era ormai totalmente congiunta a quella di Cristo che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e la risurrezione.

3. Francesco nella sua vita e con la sua morte ci offre un messaggio di perenne attualità. Vorrei focalizzarlo in un punto: la forma di vita cristiana.
Questo è il problema capitale, la grande sfida della pastorale e della nuova evangelizzazione: dare forma nelle nostre persone e nelle nostre comunità allo Spirito di Cristo.
A S.Damiano Francesco udì le parole di Cristo: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa che, come vedi, è tutta in rovina”. In rovina non era solo la struttura muraria; era soprattutto la Chiesa come comunità di popolo. Come l’ha riparata Francesco? Con la sua forma di vita ispirata a Gesù Cristo e al Vangelo.
Così, anche oggi, la Chiesa per evangelizzare la società ha bisogno anzitutto di auto-evangelizzazione. In altre parole, questo significa che dobbiamo convertire noi stessi.
I Vescovi italiani, nel consegnare alla Chiesa in Italia i lavori del Convegno Ecclesiale di Verona, hanno indicato delle opzioni fondamentali. La prima è il primato di Dio nella pastorale. La seconda è la testimonianza della vita.
Sono indicazioni che acquistano una ragione e un valore per essere più impellenti, se li consideriamo nella luce di S. Francesco d’Assisi e del nostro pellegrinaggio.
Che S. Francesco, nostro Patrono, interceda per noi e ci aiuti a seguire Cristo con più convinzione e ad amarlo con più intensità.
mons. Antonio Mattiazzo
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Ufficio stampa Conferenza Episcopale Triveneta
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