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venerdì 3 ottobre 2008

Transito di San Francesco


Mentre ad Assisi presso la Porziuncola si svolge il sacro rito, memoriale del passaggio di Francesco d'Assisi dalla vita terrena alla vita piena in Cristo, riportiamo qui l'inno liturgico e il racconto del fatto secondo la narrazione di San Bonaventura da Bagnoregio nella sua Leggenda Maggiore e dallo Specchio di Perfezione.
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Inno

È discesa la notte sul mondo,
il creato è avvolto nell’ombra:
il Serafico Padre Francesco
la sua vita conclude sereno.

Ha nel cuore un incendio d’amore,
nel suo Dio ha la mente rapita;
i suoi figli lo imploran dolenti:
tu non devi lasciare il tuo gregge.

Leva gli occhi il Serafico Padre,
stende sopra di loro la destra:
“Su di voi scenda qual provvida pioggia
abbondante la grazia divina.

Allontani da tutti il peccato,
alimenti nei cuori l’amore,
nelle menti riaccenda la luce
che rischiara e conduce alla meta”.

Sulle labbra si spegne la voce,
il suo spirito è in cielo rapito:
il suo volto rivela raggiante
la perfetta letizia celeste.

Gloria al Padre e al Figlio cantiamo,
e allo Spirito Consolatore;
Trinità sempiterna e beata
che glorifica gli umili in cielo. Amen.



Dalla "Leggenda maggiore" di san Bonaventura -
FF 1241ss
5. Finalmente, avvicinandosi il momento del suo transito, fece chiamare intorno a sé tutti i frati del luogo e, consolandoli della sua morte con espressioni carezzevoli li esortò con paterno affetto all’amore di Dio.
Si diffuse a parlare sulla necessita di conservare la pazienza, la povertà, la fedeltà alla santa Chiesa romana, ma ponendo sopra tutte le altre norme il santo Vangelo.
Mentre tutti i frati stavano intorno a lui, stese sopra di loro le mani, intrecciando le braccia in forma di croce (giacché aveva sempre amato questo segno) e benedisse tutti i frati, presenti e assenti, nella potenza e nel nome del Crocifisso. Inoltre aggiunse ancora: «State saldi, o figli tutti, nel timore del Signore e perseverate sempre in esso! E, poiché sta per venire la tentazione e la tribolazione, beati coloro che persevereranno nel cammino iniziato! Quanto a me, mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla Sua grazia!».
Terminata questa dolce ammonizione, l’uomo a Dio carissimo comandò che gli portassero il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il passo di Giovanni, che incomincia: «Prima della festa di Pasqua...» (Gv 13,1). Egli, poi. come poté, proruppe nell’esclamazione del salmo: «Con la mia voce al Signore io grido, con la mia voce il Signore io supplico» e lo recitò fin al versetto finale: «Mi attendono i giusti, per il momento in cui mi darai la ricompensa» (Cfr Sal 141,1-8).

6. Quando, infine, si furono compiuti in lui tutti i misteri, quell’anima santissima, sciolta dal corpo, fu sommersa nell’abisso della chiarità divina e l’uomo beato s’addormentò nel Signore (Cfr At 7,60).
Uno dei suoi frati e discepoli vide quell’anima beata, in forma di stella fulgentissima, sollevarsi su una candida nuvoletta al di sopra di molte acque (Cfr Sal 28,3) e penetrare diritta in cielo: nitidissima, per il candore della santità eccelsa e ricolma di celeste sapienza e di grazia, per le quali il Santo meritò di entrare nel luogo della luce e della pace, dove con Cristo riposa senza fine. Era, allora, ministro dei frati della Terra di Lavoro frate Agostino, uomo davvero di grande santità. Costui, che si trovava ormai in fin di vita e aveva perso ormai da tempo la parola, improvvisamente fu sentito dagli astanti esclamare: «Aspettami, Padre, aspettami. Ecco sto già venendo con te!». I frati gli chiesero, stupiti, con chi stesse parlando con tanta vivacità. Egli rispose: «Non vedete il nostro padre Francesco, che sta andando in cielo?»; e immediatamente la sua anima santa, migrando dal corpo, seguì il padre santissimo.

Il vescovo d’Assisi, in quella circostanza, si trovava in pellegrinaggio al santuario di San Michele sul Monte Gargano. Il beato Francesco gli apparve la notte stessa del suo transito e gli disse: «Ecco, io lascio il mondo e vado in cielo»(Cfr Gv 16,28). Al mattino, il vescovo, alzatosi, narrò ai compagni quanto aveva visto e, ritornato ad Assisi, indagò accuratamente e poté costatare con sicurezza che il beato padre era migrato da questo mondo nel momento stesso in cui egli lo aveva saputo per visione.

Le allodole, che sono amiche della luce e han paura del buio della sera, al momento del transito del Santo, pur essendo già imminente la notte, vennero a grandi stormi sopra il tetto della casa e roteando a lungo con non so qual insolito giubilo, rendevano testimonianza (Cfr Gv 1,7) gioiosa e palese alla gloria del Santo, che tante volte le aveva invitate a lodare Dio.
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Dallo "Specchio di perfezione" - FF 1820
Stava il Santo, infermo dell’ultima malattia che lo portò a morte, nel luogo di Santa Maria degli Angeli.
Un giorno chiamò i suoi compagni e disse loro: «Voi sapete come Donna Jacopa de Settesoli è vivamente devota a me e al nostro Ordine. Credo perciò ch’ella considererà grande favore e consolazione se la informiamo del mio stato. Domandatele specialmente che mi faccia avere del panno monacale color cenere e, insieme, mi mandi anche di quel dolce che a Roma preparò per me più volte». I romani chiamano quel dolce: mostaccioli, ed è fatto di mandorle, zucchero e altri ingredienti.
Quella nobildonna era molto religiosa, una delle vedove più nobili e ricche di Roma. Per i meriti e la predicazione di Francesco, aveva ricevuto dal Signore la grazia di emulare, nelle lacrime e nel fervore, nell’amore e nell’appassionata dedizione a Cristo, Maria Maddalena.
Scrissero dunque una lettera come aveva detto il Santo; e un frate andava cercando un compagno che recapitasse alla nobildonna la lettera, quando fu picchiato alla porta del luogo. Un frate aprì, ed ecco, lì in persona, Donna Jacopa, venuta con gran fretta a visitare Francesco. Un frate la riconobbe e si recò immediatamente da Francesco, annunziandogli con grande gioia che Donna Jacopa era venuta da Roma con suo figlio e molto seguito a fargli visita. Soggiunse: «Cosa facciamo, padre? Possiamo lasciarla entrare da te?». Disse questo, perché per volontà di Francesco era stato deciso che in quel luogo, per preservarne il decoro e il raccoglimento, non vi entrasse alcuna donna. Ma il Santo disse: «Tale regola non va osservata per questa nobildonna, che una grande fede e devozione ha fatto accorrere qui da tanto lontano».
Così Donna Jacopa entrò dal beato Francesco, scoppiando in lacrime davanti a lui. E, cosa mirabile, portava con sé il panno mortuario, color cenere, per fare una tonaca, e le altre cose contenute nella lettera, come se l’avesse ricevuta in antecedenza.
La signora disse ai frati: «Fratelli miei, mentre pregavo ebbi questa ispirazione: – Va’a visitare il tuo padre Francesco; affrettati, non indugiare; ché, tardando, non lo troveresti più vivo. E portagli il tale panno per la tonaca e tali altre cose, per fargli quel dolce. Inoltre, porta con te gran quantità di cera per farne delle candele, e anche dell’incenso –». Questo, tranne che l’incenso, era annotato nella lettera che si stava per recapitarle.
E così avvenne che Colui, il quale ispirò ai re Magi di andare con doni a onorare il Figlio suo nel giorno della sua nascita, ispirò anche a quella nobile e santa signora di recarsi con doni a onorare il suo dilettissimo servo nei giorni della sua morte, o meglio della sua vera nascita.
Preparò quella signora il cibo che il Santo desiderava mangiare, ma egli ne mangiò ben poco, perché sempre più gli mancavano le forze e si avvicinava alla morte.
Fece fare anche molte candele che, dopo la morte del Santo, ardessero intorno alla sua salma; e con il panno, i frati confezionarono la tonaca con la quale venne sepolto.
Francesco stesso ordinò ai frati di cucirgli del sacco sulla veste che portava, in segno ed esempio di umiltà e di sovrana povertà.
E in quella settimana in cui era venuta Donna Jacopa, il nostro santissimo padre migrò al Signore.
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